

Valentina Sbrescia
Psicologa e psicoterapeuta gestaltica
Adozione e scuola.
Le 10 novità introdotte dalle Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati
Finalmente, dopo anni di lavoro e di impegno continuo delle associazioni di familiari nell’essere di stimolo alle istituzioni per migliorare l’esperienza scolastica dei propri figli, si è aperto un canale comunicativo tra scuola e famiglie adottive, in cui tutti si sforzano di riconoscere e rispettare le proprie differenti individualità. Lo scopo è quello di costruire un’esperienza scolastica positiva per tutti. Parlo di esperienza perché la scuola non si riduce ad un mero immagazzinamento di nozioni, ma è un momento importante nella costruzione dell’individualità di ciascuno, del senso di autostima e di autoefficacia, tanto dal punto di vista cognitivo che, altrettanto, emotivo e sociale.
Voglio quindi, schematicamente, riportare le novità presenti nel documento, che mi sembrano di maggior interesse:
1. Il coinvolgimento di tutti gli attori del percorso scolastico: finalmente acquisisce maggior peso l’esperienza di chi l’adozione la conosce veramente, dall’interno, e cioè le famiglie adottive e i loro rappresentanti, le associazioni di famiglie adottive. L’adozione non è più considerata un tema per professionisti esperti ma un elemento della quotidianità di tante famiglie.
2. L’individuazione precisa di fattori di rischio e di vulnerabilità distinti dal pregiudizio uniformante delle carenze e difficoltà cognitive dei ragazzi adottati, nonché della problematicità loro connessa. Ogni individuo ha bisogni differenti in base al proprio carattere, alla propria storia ed al proprio attuale contesto di vita.
3. Il riconoscimento dell’impatto del vissuto emotivo sulle capacità di apprendimento: deficit di concentrazione, di attenzione, di memorizzazione, nella produzione verbale e scritta, in alcune funzioni logiche. Spesso, i vissuti emotivi intensi sperimentati dai bambini nel percorso che li ha portati alla loro attuale famiglia, li hanno disposti a non apprendere modalità efficaci di controllo ed espressione degli stessi. Questo può provocare difficoltà nel tollerare le frustrazioni, nel rispettare le regole, ma anche ad un forte bisogno di attenzione e di sentirsi portatori di valore per gli altri (anziché un disvalore da eliminare).
4. La necessità per i docenti di vivere con equilibrio una giusta distanza emotiva con i bambini. Cioè di tener in giusta considerazione le loro caratteristiche senza eccedere né in considerazione e vicinanza, né in svalutazione e lontananza affettiva.
5. L’italiano come seconda lingua o “bilinguismo sottrattivo”. L’acquisizione della lingua italiana avviene velocemente nei contesti di vita quotidiana per una semplice esigenza di sopravvivenza (es: come faccio a bere se non so chiedere l’acqua?). Diversa è l’acquisizione di un lessico astratto e specialistico come quello scolastico: per esempio alcuni bambini leggono bene ma hanno difficoltà a comprendere ciò che leggono; sembrano non avere una struttura linguistica da replicare con parole italiane, oppure, quando manca un vocabolo non è possibile rintracciare l’equivalente nella lingua originaria… e così via, con il risultato che spesso i bambini provano la frustrante sensazione di non essere in grado di esprimersi in alcun modo, di essere “senza parole”.
6. Le differenze etniche non caratterizzano una diversità culturale: l’adozione non è un tipo particolare di immigrazione.
Vengono poi individuati strumenti specifici allo scopo di minimizzare gli effetti di tali vulnerabilità e buone prassi da attivare in tutti i circoli didattici, non limitandosi alla scuola materna o primaria, ma utilizzabili anche durante i passaggi di grado scolastico e nella scuola primaria di secondo grado e secondaria. Essi sono:
7. L’istituzione di buone prassi in fase di iscrizione a scuola. Vengono create modalità ad hoc per l’accoglienza e l’iscrizione a scuola anche in mancanza di una documentazione completa, nonché una certa elasticità rispetto all’età di ingresso a scuola.
8. L’istituzione di un referente scolastico per l’adozione. Questi ha il compito di svolgere i colloqui preventivi all’iscrizione con la famiglia e di seguire poi il percorso scolastico degli alunni adottati, nonché di promuovere eventi di formazione continua e di consulenza per tutto il personale scolastico. Può inoltre stimolare e contribuire alla elaborazione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che tenga conto delle specificità dell’alunno, comprendendo, ad esempio, modalità alternative di espletamento delle verifiche, pur svolte con i contenuti ed i tempi previsti per l’intera classe, che consentano allo specifico alunno di esprimere appieno le sue capacità di studio.
9. L’affiancamento di un compagno – tutor e/o di un facilitatore linguistico. Si tratta di qualcuno che non necessita di conoscere l’idioma originario e quindi in grado di tradurre da una lingua all’altra, bensì di facilitare la comunicazione del bambino adottato con gli altri compagni ed insegnanti, ma anche di facilitare l’approccio alla lingua di studio. Ricordo le
difficoltà legate al bilinguismo sottrattivo per cui è facile per un bambino cognitivamente dotato produrre risultati scadenti nelle prove di valutazione dell’apprendimento, per esempio.
10. L’attivazione di azioni di potenziamento linguistico. Per esempio in riferimento alla comprensione del testo, all’esposizione orale o scritta, senza necessariamente utilizzare misure dispensative o compensative come previsto nei protocolli BES.
Queste sono, in sintesi, le novità introdotte dal documento. Ora, la sfida per le famiglie, è portare all’attenzione di docenti e dirigenti le proprie situazioni specifiche, pretendendo che siano attivate tutte le misure ritenute necessarie al benessere scolastico dei propri figli. Ora, noi famiglie adottive, abbiamo uno strumento da poter utilizzare a questo scopo. Usiamolo, e usiamolo con intelligenza!
Dott.ssa Valentina Sbrescia
