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                 L’ansia nell’animo:

                 l’anima dell’ansia.

 

                                                                                                                           

 

 

 

 

Nella quotidianità di ciascuno di noi gli eventi che riempiono il tempo si susseguono senza soluzione di continuità, oggi più di prima, imponendoci un senso di ‘riempimento’ che quasi minaccia di soffocarci. Genericamente si parla, in questo caso, di ansia: più o meno tutti riconosciamo i segni con cui si manifesta ma pochi hanno delle risposte alle domande sul perché e sul come trattarla. Ciò che è importante considerare è comunque il fatto che l’ansia è un sintomo, cioè il segno che rende visibile la presenza di qualcos'altro, e non una malattia in sé.

 

In questo articolo dunque cercherò di definire brevemente cos'è l’ansia e come si manifesta, e poi fornirò una visione rispetto ai vissuti interni e alle cause del sintomo ansioso.  

 

Infine cercherò di proporre delle vie possibili di gestione efficace dell’ansia, in modo da recuperare quello stato di serenità e calma che tutti desideriamo raggiungere nonostante il ritmo di vita veloce che conduciamo.

 

Definizione del concetto e descrizione

 

La parola ansia deriva dal verbo latino ango, il cui passato è anxi, e rimanda a significati quali ‘stringere’, ‘soffocare’, ‘senso di soffocazione’. Per quanto possa sembrare strano a dirsi, l’ansia è un’emozione naturale (cioè prevista dalla natura nel corredo emotivo umano), ed in quanto tale svolge una funzione importantissima per il mantenimento della vita: permette di anticipare il verificarsi di un pericolo e quindi di mettere in funzione tutte le risposte specifiche adatte ad affrontarlo. A livello fisiologico sono infatti molti i sistemi che vengono attivati, da quello respiratorio a quello motorio, allo scopo da un lato di esplorare l’ambiente per identificare il pericolo e, dall’altro, di affrontarlo nel modo migliore o di scappare per evitarlo. In questo senso dunque l’ansia è il motore interno che favorisce l’acquisizione di conoscenze sul mondo ed un migliore adattamento ad esso.

 

Tuttavia può capitare che questa emozione si presenti in modo invadente, intenso e costante anche quando non c’è in realtà alcun pericolo che ci minaccia. L’allarme fisiologico è fine a sé stesso, è sproporzionato ed irrealistico, quindi interferisce con la capacità di portare a termine i compiti che svolgiamo e con le relazioni personali, tagliandoci fuori in modo brusco dalla normalità che vorremmo condividere con gli altri. Da una parte infatti ci accorgiamo che il nostro ‘sentire’ non è uguale a quello dei nostri familiari ed amici, dall’altra cominciamo a mettere in atto tutta una serie di comportamenti cosiddetti ‘evitanti’ al fine di tenerci lontano da tutto ciò che pensiamo possa scatenare in noi l’ansia.

 

In questa breve descrizione sono evidenti tutte e tre le componenti dell’ansia: la base fisiologica, quella emotivo-cognitiva e quella comportamentale.

 

La base fisiologica prepara l’organismo all’azione aumentando la tensione muscolare così da poter reagire velocemente; accelerando il battito cardiaco (tachicardia) per assicurare un maggior apporto sanguigno ai muscoli; aumentando la frequenza respiratoria (iperventilazione) fino a farci venire le vertigini o addirittura ad annebbiare la vista e le capacità cognitive nei casi più gravi; aumentando la sensibilità dell’organismo agli stimoli esterni (pupille dilatate e aumentata sensibilità al dolore).

 

La componente emotivo-cognitiva ci consente di valutare velocemente noi stessi e la situazione che ci si prospetta in modo da elaborare una strategia efficace di comportamento. L’attenzione si focalizza esclusivamente sugli elementi che riteniamo minacciosi in quel momento; la valutazione che diamo di noi stessi come non capaci (auto-svalutazione) di far fronte alla situazione tende a stabilizzarsi e ad estendersi a tutti gli altri ambiti di vita; la valutazione che diamo dell’ambiente esterno esita in una sovrastima (catastrofizzazione) degli elementi minacciosi; ci sentiamo inadeguati, oppressi, frustrati ed incapaci di far fronte alla situazione.

 

La componente comportamentale considera la strategia migliore per affrontare ciò che ci procura ansia. Solitamente sono solo due le scelte possibili: affrontare il problema o evitarlo. In questo secondo caso però, normalmente, si tende a ridurre progressivamente gli ambiti di vita autonoma che si ritengono sufficientemente sicuri e ad aumentare la considerazione di eventi e situazioni che potrebbero essere potenzialmente ansiogeni (cioè che creano ansia). Il problema si evita e si rimanda ottenendo così un senso di sollievo temporaneo che apre la strada ai sensi di colpa e alla diminuzione dell’autostima e del senso di autoefficacia.

 

Infine, secondo il manuale diagnostico di maggior utilizzo nel mondo (DSM-IV tr) sono tanti i disturbi riconducibili all’ansia e vanno dagli attacchi di panico alle fobie, dal disturbo ossessivo-compulsivo al disturbo post-traumatico da stress. Tutti hanno in comune gli stessi sintomi appena descritti e si differenziano semplicemente per le situazioni specifiche in cui si verificano o per le modalità personali di porre sollievo all’ansia (per. es. comportamenti compulsivi, evitamenti ecc…).

 

Una finestra aperta sui sentimenti… le richieste implicite

 

Fin qui ho descritto gli elementi che definiscono la parte osservabile dell’ansia, di qualcosa che affonda le sue radici dentro di noi e nelle nostre emozioni: sono in altre parole i segni tipici della paura. Ma… Paura di che? Paura di cosa? Il problema dell’ansia generalizzata è proprio questo: non siamo più in grado di rispondere a queste due semplici domande, non riusciamo più a rintracciare il collegamento esistente tra l’ansia che proviamo e la situazione interna od esterna che l’ha causata.

 

Forse il nostro modo di vivere ci ha allontanato dall’abitudine all’ascolto di noi stessi, ma è anche vero che le minacce da cui sentiamo di doverci difendere si nascondono spesso in situazioni ambigue e perciò difficili da individuare con chiarezza. Dobbiamo perciò chiederci con onestà: qual è la situazione o la minaccia con cui dobbiamo fare i conti, che abbiamo necessità di affrontare? Secondo la mia esperienza, nella maggior parte dei casi, i pericoli si celano nei rapporti più intimi e importanti, quelli in cui investiamo emotivamente di più e in cui abbiamo più da perdere. Il problema però non è determinato dai rapporti in sé quanto invece da un modo poco schietto o addirittura manipolativo di viverli.

 

Mi spiego meglio. In ogni rapporto personale esistono delle richieste implicite, come ad esempio “Sii onesto con me!; Prova interesse per me e per la mia vita!; Dedicami il tuo tempo!” e così via. Queste sono tutte richieste che sebbene non siano state espresse in modo chiaro sono comunque accettate come parte integrante di ogni relazione: senza un comune accordo su queste richieste non esisterebbe infatti nessuna relazione! Esistono invece altre richieste che, oltre ad essere poste, o addirittura pretese, in maniera implicita, vanno perfino oltre i confini di un normale rapporto tra persone ed assumono i caratteri di una richiesta invadente ed oppressiva verso il partner, sia egli un amico, un genitore o un figlio, o un partner affettivo di qualunque genere. Mi riferisco a richieste del tipo: “Prenditi la responsabilità della mia felicità!; Non farmi MAI soffrire!; Sii una persona speciale!; Raggiungi gli obiettivi che IO mi sono posto per la TUA vita!” ecc. In questi casi, rispondere e soddisfare le richieste altrui, diventa un compito opprimente da portare a termine, spesso un obiettivo che non ci siamo posti noi e che non siamo in grado di raggiungere.

 

Abbiamo allora la sensazione che il rapporto non sia chiaro e trasparente, ma piuttosto ambiguo, costituito da parti che non riusciamo bene ad individuare e che sono quindi impossibili da gestire. In questi rapporti c’è sempre qualcosa che sfugge alla nostra comprensione: le richieste implicite appunto. L’unica cosa che sappiamo è che non riusciremo comunque a soddisfare i bisogni dell’altra persona e che continueremo comunque a sentirci frustrati, scontenti e fallimentari nelle nostre iniziative. Ed in questo caso è proprio la paura del fallimento nel rapporto personale che ci spaventa, specie se si tratta di un rapporto di importanza vitale per noi: siamo continuamente esposti al fallimento, al di là di ogni nostro tentativo o buona intenzione, e tuttavia, senza quel rapporto noi ci sentiamo persi. Ci sentiamo allora obbligati a continuare questo gioco ormai perverso pur di non perdere la fiducia e la stima della persona che amiamo. Sembra quasi che anche noi rispondiamo alle richieste del partner con una richiesta altrettanto forte: “Non perdere la stima/affetto che hai per me, altrimenti mi sento perso!”.

 

Una finestra aperta sui sentimenti… la rimozione dei propri bisogni

 

Fin qui ho parlato del modo in cui si manifesta l’ansia, del suo stretto legame con il sentimento della paura e con il senso di frustrazione che deriva dal desiderio e, allo stesso tempo, dall’impossibilità di soddisfare le richieste altrui.

 

In altri casi invece capita che, per motivi che riguardano la nostra storia, oppure il nostro ambiente di vita o i nostri rapporti, arriviamo a definire una situazione in cui mettiamo da parte alcuni dei nostri bisogni fondamentali, ed è questa rimozione che genera in noi degli stati ansiosi.Quando parlo di ‘bisogni’ intendo riferirmi alle necessità psicologiche di base, cioè quelle che, se insoddisfatte, creano tensione ed ansia nelle nostre vite. In termini generali possiamo dire che sono fondamentali il bisogno di contentezza ed affetto, cioè di rapporti personali intimi ed emotivamente soddisfacenti; il bisogno di sostenere noi stessi, cioè di stare in piedi da soli, senza stampelle né fisiche né emotive; il bisogno di agire e di riuscire in ciò che facciamo, cioè di trarre soddisfazione da ciò che facciamo; il bisogno di guardare avanti e di aspirare a qualcosa, cioè di avere una prospettiva che vada al di là della giornata odierna, di stabilire obiettivi per il futuro e di ritenerci degni ed in grado di raggiungerli. Quando uno qualsiasi di questi bisogni fondamentali rimane insoddisfatto per circostanze sfavorevoli di qualsiasi tipo, diventa allora una sorgente di tensione che dà origine ad un forte senso di frustrazione, tanto più intenso quanto più forte è la rimozione del bisogno, e quindi genera stati ansiosi.

 

Questo succede perché non riconoscere a sé stessi la necessità di qualcosa di importante per la sopravvivenza fisica o psicologica, e quindi il diritto alla soddisfazione di quel bisogno tanto importante per sé, equivale, in qualche modo, a non accordare a sé stessi il permesso/diritto di esistere. Si crea così un paradosso: se non ho il diritto di esistere, come faccio ad avere dei bisogni? E se non ho né diritti né bisogni, come faccio ad esistere? E poiché in un paradosso ogni elemento elimina concettualmente l’altro, diventa impossibile risolverlo. Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un compito in cui sicuramente falliremo, come per le richieste implicite e manipolatorie. In questo caso allora dovremmo chiederci: chi ha il dovere di difendere i nostri diritti e soddisfare i nostri bisogni se non noi? Perché… triste ma vero, nessuno ha a cuore il nostro benessere più di noi stessi!

 

Una finestra aperta sui sentimenti… saltare il gradino!

 

Dopo aver discusso più sopra delle caratteristiche dei fenomeni ansiosi, ho proposto alcune chiavi di lettura in riferimento al mondo interiore dell’esperienza ansiosa: le richieste implicite e la rimozione dei propri bisogni. Mi dedicherò adesso ad esplorare un’ultima chiave di lettura che fa riferimento alla fuga dal presente e al salto della consapevolezza nel futuro o nel passato.

 

A volte l’ansia si riferisce al fatto che la nostra consapevolezza di noi stessi e di ciò che facciamo e proviamo, si sposta dal momento presente ad un momento futuro non ancora sperimentato. Mi spiego meglio: se io dovessi dire, a voi che state leggendo, che tra pochi minuti vi chiederò di raccontare di voi stessi ad un gruppo di sconosciuti, onestamente e in dettaglio, probabilmente comincereste a provare agitazione e i sintomi fisici e psichici tipici dell’ansia, che ho descritto precedentemente. In questo modo io scelgo deliberatamente di trattenervi in una situazione futura, vi chiedo di saltare nel futuro e di prepararvi a raccontare al gruppo di sconosciuti le vostre esperienze personali. Mentre cercate di prepararvi a svolgere questo compito, la vostra energia e la vostra eccitazione aumentano, il vostro cuore batte più forte ed alcuni muscoli si tendono e preparano all’azione. Se voi steste davvero facendo quello che vi chiedo, la vostra energia potrebbe fluire attraverso l’attività, ma finché la richiesta è nel futuro, tutta l’eccitazione accumulata rimane bloccata e si sperimenta ansia, o paura del pubblico. Lo stesso succederà nel caso in cui l’attività debba veramente realizzarsi da un momento all’altro e voi però non osiate cominciare a farlo, di modo ché la consapevolezza è ancora proiettata nel futuro e non nel presente.

 

Allo stesso modo molti di noi non si limitano a vivere la situazione presente, ma anticipano una perdita o una frustrazione, immaginando ogni tipo di fallimento per la propria attività e le terribili conseguenze che ne deriveranno. A questo punto il turbamento che ne deriva finirà per interferire con il compito in sé stesso e potrà anche portare a quel fallimento tanto temuto. Capita dunque che ogni preoccupazione per il futuro riduca il contatto con ciò che accade nel momento presente, e possa addirittura annientarlo: come un ragazzo che preoccupato per l’esame del giorno dopo non riesca a godersi il primo appuntamento con la persona amata, in programma per la sera odierna.

 

Ugualmente, ricordare o pensare al passato, invece che al presente, provoca la stessa cosa: quasi tutti i ricordi sono un’inutile attività di fantasia su eventi che avremmo desiderato andassero diversamente, su nostre prestazioni che sarebbero potute essere più proficue ecc. Così torturiamo noi stessi in un percorso ripetitivo tra l’ora e il prima. In questo modo, molta della nostra energia viene sprecata in fantasie e ne rimane ben poca per sperimentare o fare qualcosa nel presente.

 

Mi viene allora da chiedervi, e da chiedermi: che cosa, qui ed ora, ci spaventa al punto da costringermi a concentrarmi su un tempo non presente? per quale motivo torturiamo noi stessi in compiti e con aspettative che non possiamo soddisfare, in quanto non sono disponibili per l’azione nel qui ed ora?

 

Comportamenti compensatori

 

Quando l’ansia è intensa e si è perduto il collegamento con ciò che l’ha generata, quando cioè l’incapacità di rispondere alle aspettative altrui, la rimozione dei bisogni o il salto in un tempo non presente, sono di grande portata emotiva, allora si manifestano solitamente dei comportamenti compensatori. Intendo cioè delle modalità comportamentali, un modo di agire, delle azioni, che vengono messe in atto in modo compulsivo, eccessivo e senza possibilità di scelta, definendo così un atteggiamento generalizzato verso la vita e verso le persone. Queste modalità hanno lo scopo di sostituire un comportamento più adeguato, come ad esempio: chiarire una relazione, prendere ciò di cui abbiamo bisogno o vivere nel presente.

 

Per la loro natura sostitutiva, i comportamenti compensatori risultano dunque essere inefficaci, difficilmente ci permettono di raggiungere una vera soddisfazione, sono spesso inopportuni ed eccessivi, danno luogo a pregiudizi, atteggiamenti radicali ed eccessivi, alla tendenza a moralizzare gli altri; sono cioè il ‘piano B’ che ci consente di raggiungere almeno una soddisfazione sostitutiva. Ciò che è importante capire al riguardo, è che questi comportamenti hanno un carattere ossessivo, cioè non lasciano spazio alla libertà e all’autodeterminazione delle persone: ci sentiamo costretti ad agire in quel modo o non siamo in grado di agire diversamente.

 

Ciò che invece sarebbe opportuno sarebbe avere la possibilità e la libertà di valutare le condizioni di realtà esistenti in modo da poter agire in modo appropriato alla situazione e agli obiettivi che ci siamo prefissati.

 

C’è da dire che difficilmente le persone riescono ad essere completamente libere dalle costrizioni del vivere: non ho ancora conosciuto una persona, per quanto in gamba, che sia libera dall’ansia e da comportamenti compensatori, proprio perché entrambi sono tipici dell’essere umano e sono utili alla sopravvivenza: provate ad immaginare una persona totalmente libera nell’espressione di sé… probabilmente se mai ne è esistita una adesso sarà sicuramente ricoverata in qualche istituto con qualche brutta diagnosi!!! Voglio dire che anche la compensazione, in una certa misura, è utile alla sopravvivenza, ma non lo è più quando riduce al minimo le nostre facoltà di valutazione ed azione autonoma, consapevole e autodeterminata. In questo caso diventa un problema e non più una risorsa.

 

Conclusioni

 

Se siete arrivati a questo punto devo sicuramente ringraziarvi per avermi accompagnata lungo tutto questo percorso, e sicuramente vi starete chiedendo: E allora? Alla fine di tutte queste parole, come faccio a gestire la mia ansia? Ebbene, come avrete potuto desumere durante la lettura, sono diversi i livelli a cui è possibile agire per alleviare e gestire l’ansia: quello fisiologico, quello emotivo e quello comportamentale.

 

Solitamente un lavoro terapeutico ben fatto agisce sulla causa del malessere e non sul mero sintomo: agisce cioè sulla componente emotiva e cognitiva del fenomeno ansioso attraverso l’utilizzo di numerose tecniche di cui ora vi faccio, a titolo esemplificativo, un veloce elenco:

→Uso consapevole del respiro

→Training autogeno

→Body work

→Drammatizzazione

→Lavoro sui sogni

→EMDR…

 

Sono questi e tanti altri ancora i metodi di lavoro possibili con i fenomeni ansiosi, e con tutti è possibile recuperare un po’ dell’energia intrappolata nel sintomo ansioso e recuperarla in termini di vitalità e libertà personale, poiché, usando una metafora, ogni volta che eliminiamo una delle sbarre della gabbia in cui ci siamo rinchiusi, i nostri polmoni possono respirare meglio.

 

Se desiderate saperne di più sui temi fin qui trattati vi invito a volermi contattare presso i recapiti indicati nel sito !

 

Nel frattempo, BUONA LIBERTA’ A TUTTI!

 

Bibliografia

Lüscher, M. Il test dei colori, Astrolabio, Roma, 1976Perls, F. La terapia gestaltica parola per parola. Astrolabio, Roma, 1980.F. Perls, P. Goodman, R. Hefferline. Teoria e pratica della terapia della Gestalt. Vitalità e accrescimento nella personalità. Astrolabio, Roma, 1971.

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